Questo articolo ha l’intento di aprire nuove prospettive all’uso del metodo del PPM estendendolo alle complessità dei gruppi, delle comunità e delle organizzazioni. Infatti questi sistemi essendo sottoposti a numerose variabili intervenienti necessitano di strumenti sia per comprendere eventuali crisi sia per potersi riorganizzare in modo efficace ed efficiente in tempi brevi. Si ritiene che il PPM possa dare un contributo significativo in questa direzione e con questo articolo si intende intraprendere un percorso per coglierne le effettive applicazioni interagendo con con le scienze dei sistemi complessi e con le teorie psicoanalitiche trasformative nei gruppi e dei gruppi.
SOMMARIO
L’intento di questo articolo è quello di iniziare un percorso di riflessione sulle possibili applicazioni del
processo psicoanalitico mutativo, PPM, ai gruppi, alle comunità e alle organizzazioni. A tal fine si ritengono fondamentali alcune premesse volte a definire il quadro epistemologico e l’approccio transdisciplinare.
Vorremmo tener conto delle evoluzioni sia nel campo psicoanalitico che nel campo neuroscientifico che nella scienza dei sistemi complessi cogliendone i loro punti di interazione e come le prospettive dell’una possano essere messe al servizio dell’altra generando nodi teorico-applicativi sia osmotici che sinergici.
L’articolo si divide in quattro tempi. Un primo tempo in cui si considera un raccordo tra la dimensione individuale e la dimensione gruppale partendo dal modello bio-psico-sociale. Un secondo tempo in cui si delineano i tratti salienti del modello del PPM tramite la teoria dei sistemi complessi mostrando come sia possibile applicare il PPM ai sistemi multicomponenti. Un terzo tempo in cui si introducono gli aspetti che intendiamo cogliere, osservare e trasformare con il modello applicandolo ai gruppi. Infine, si conclude l’articolo sottolineando il potenziale mutativo di senso individuale e collettivo nei gruppi e dei gruppi.
La dialettica tra psicoanalisi e altri campi scientifici è già da tempo iniziata e peraltro lo stesso Freud si augurava che i progressi della scienza potessero aiutare a far luce su alcuni aspetti che al suo tempo rimanevano in ombra. Il dispositivo metodologico proposto, il PPM, è inscritto nel modello teorico psicoanalitico (Petrini e Mandese, 2017) e pertanto si intendono fornire prospettive di applicazione del
PPM nel sistema di indagine, tramite concettualizzazioni appartenenti alle teorie psicoanalitiche in riferimento agli studi, alle ricerche e alle esperienze inerenti il gruppo sviluppatesi nell’alveo psicoanalitico. Inoltre, essendo il modello del PPM anche inscritto nel più ampio contenitore dei modelli bio-psico-sociali, si desidera cogliere e sviluppare tutte e tre le istanze.
Rispetto alla biologia si ritiene utile, se non imprescindibile, attingere agli sviluppi neuroscientifici che vedono applicazioni anche nel campo psicanalitico come ad esempio gli autorevoli lavori riguardo la
neuropsicoanalisi (Mark Solms, 2002), il “cervello sociale” (Cozzolino, 2006), body-brain-mind (Imbasciati, 2020). Tali studi neuroscientifici consentiranno di prendere in considerazioni cosa accade tra organismo e ambiente e come si influenzino reciprocamente, uno spazio “neuro-intersoggettivo” fondamentale nello studio dei funzionamenti nei e dei gruppi. Rispetto alla dimensione sociale già Freud propose i concetti di orda, massa e gruppo nel disagio della civiltà piuttosto che le disamine delle trasformazioni della collettività in totem e tabù. Le numerose teorie psicoanalitiche del gruppo nei vari modelli, funzionalisti, strutturalisti, genetici e di trasformazione (Kaes, 1999) offrono disamine e prospettive avvincenti e affascinanti nello studio dei gruppi. Per l’aspetto sociale si vuole anche dialogare con quei campi autorevoli delle scienze che consentono di ampliare e approfondire le prospettive psicanalitiche offrendo una disamina degli elementi interagenti e interconnessi, pertanto interdipendenti, tramite le scienze della complessità. Le teorie dei sistemi complessi, dinamici e non lineari, consentono di prendere in esame elementi descrittori come la complessità, stati di ordine e stati di caos, stabilità e instabilità, la presenza naturale dell’incertezza, i funzionamenti e le strutture dei sistemi. L’uso di queste prospettive si ritiene che “possano aiutare gli analisti a usare con maggiore precisione, apertura e immediatezza quegli assunti fondamentali che vengono solitamente dati per scontati.” (Seligman, 2007)
È nelle suddette metafore, che via via si andrà ad inserire il PPM collocandolo quale strumento che consenta di definire le motivazioni della crisi in gruppo e favorente processi di mutamento nel
funzionamento psichico nel gruppo e nel funzionamento psichico del gruppo. Volgere lo sguardo non solo sul singolo individuo bensì sul soggetto come parte di un gruppo, soggetto in interazione con altri soggetti, soggetto di gruppo, organizzatori inconsci e formazioni inconsce di gruppo. Si ritiene che il modello del PPM pur rimanendo saldo alle sue origini, alla sua teoria della crisi e al suo
modello mutativo volto alla dimensione clinica, possa concorrere nello stimolare processi di soggettivazione che consentano, appunto al soggetto, di divenire tale eleggendo ed annotando i registri del simbolico, dell’immaginario e del reale in uno proprio personale statuto del soggetto(Lacan) che tuttavia rimane costantemente sottoposto alle forze del destino (Bollas, 1989), consce, preconsce e inconsce, moti tra fato e destino che promuovono costanti oscillazioni, regressive e progressive, deformanti e formanti, disgreganti e aggreganti, in cui occorre destreggiarsi durante l’esistenza. Una vita, una esistenza, una morte. Oltre il “narcisismo delle piccole differenze”, accogliendo quelle ferite di rispecchiamento mancato necessarie per promuovere lo stadio genitale, presupposto applicativo del PPM (Petrini e Mandese, 2017), per poter abbracciare una dimensione condivisa e collettiva, l’appartenenza alla razza umana (Berne, 1972).
Questa prospettiva mutativa si vuole applicare, mutandis mutandi, in quei percorsi di trasformazione nel e del gruppo. Da orda a gruppo (Freud, 1921), da gruppo in assunti di base a gruppo di lavoro (Bion), da assoggettamento a soggetto di gruppo, gruppo come soggetto collettivo.
È possibile cogliere la dimensione di doppio statuto del soggetto, sia in quanto soggetto e sia come soggetto di gruppo, una dialettica tra sistemi individuali e collettivi e gli spazi di interazione tra essi. Aspetti che già Freud prese in considerazione nell’introduzione del testo Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921) “…la contrapposizione tra la psicologia individuale e quella sociale o collettiva si rivela, quando la si consideri più attentamente, ben meno profonda di quanto non appaia a prima vista. Indubbiamente la prima ha come oggetto l’individuo e ricerca i mezzi di cui questi serve e le strade che segue per ottenere la soddisfazione dei suoi desideri e bisogni; tuttavia, ben di rado ed in casi assolutamente eccezionali essa riesce, in questa ricerca, a fare astrazione dai rapporti tra l’individuo ed i suoi simili. Nella vita dell’individuo l’altro rappresenta sempre un modello, un oggetto, un amico od un nemico, e sin dall’inizio la psicologia individuale è anche sotto un certo aspetto, una psicologia sociale, in un senso lato, ma perfettamente legittimo, della parola.” Un sistema è considerato un insieme di elementi interconnessi ed interagenti tra loro in grado di produrre stimolazioni reciproche. Un sistema è tanto più complesso quanto meno è organizzato da variabili determinate capaci di determinare una prevedibilità del sistema che dunque si potrà manifestare come dinamico e con trasformazioni non-lineari. In tale teoria le trasformazioni sono considerate come stati
attrattori in evoluzione e in dissoluzione delle interazioni tra gli elementi del sistema. Lo psicanalista Robert Stolorov in un suo articolo del 1995 applicò la teoria dei sistemi dinamici proposta da Thelen e Smith (1994) ai fenomeni studiati in psicoanalisi come il conflitto, il transfert, il determinismo psichico, l’inconscio considerandoli “come proprietà emergenti in maniera dinamica da sistemi autorganizzanti, non lineari, diadici ed intersoggettivi.” In questo paragrafo presenterò gli aspetti fondamentali della teoria dei sistemi dinamici che ritengo possano costituire una utile dialettica con il modello del PPM rifacendomi alle considerazioni di Stolorow(1995). Si motiverà l’utilità delle applicazioni dei principi dei sistemi dinamici all’uso del PPM nei gruppi, nelle comunità e nelle organizzazioni sottolineando la possibilità di estendere le applicazioni anche ai sistemi dinamici multicomponenti e non solo ai sistemi diadici, psicoterapeuta-paziente. Il PPM è un modello, che opera all’interno del sistema diadico psicoterapeuta-paziente, che intende promuovere l’elaborazione trasformativa di quegli elementi che il paziente non riesce più ad elaborare tramite il suo funzionamento psichico, che pertanto entra in crisi non riuscendo a ricostituire il suo precedente equilibrio tentando di perpetuare anche con lo psicoterapeuta modalità per ripristinare e mantenere appoggi oggettuali precedenti alla crisi e le sue credenze falsificanti e patogene. Il PPM è un modello, che opera all’interno del sistema diadico psicoterapeuta-paziente, che intende promuovere l’elaborazione trasformativa di quegli elementi che il paziente non riesce più ad elaborare tramite il suo funzionamento psichico, che pertanto entra in crisi non riuscendo a ricostituire il suo precedente equilibrio tentando di perpetuare anche con lo psicoterapeuta modalità per ripristinare e mantenere appoggi oggettuali precedenti alla crisi e le sue credenze falsificanti e patogene. La patologia pertanto potrebbe essere considerata nella genesi di un determinismo psichico, come qualche cosa che interviene nella vita della persona ostacolandone la realizzazione. Essa può costituire tutti gli elementi del fato che non favoriscono l’individuo nel suo divenire soggetto e di compiere il proprio destino (Bollas, 1999), animando un “gioco infinito di movimenti transferali e controtransferali!” (Petrini e
Mandese, 2017). La teoria evolutiva della crisi proposta da Petrini e Mandese, coglie proprio nel momento della crisi l’opportunità per una investigazione ed individuazione di quei modelli invarianti impedenti la costruzione nella mente del paziente di nuove rappresentazioni capaci di integrare il cambiamento specifico nella vita della persona. È proprio tale cambiamento specifico nella sua vita che deve aver confrontato il paziente “non solo con l’impossibilità di ripetersi nel suo funzionamento mentale di sempre, ma anche con l’impossibilità di continuare a credere alla funzione difensiva di certe rappresentazioni di sé, dell’altro, e delle situazioni;in altre parole non potrà evitare di vivere la mancanza dell’appoggio di precedenti modalità di equilibrio e di credenze falsificanti” (Petrini e Mandese, 2017). Una perturbazione non pensata che svela gli aspetti non ancora pensabili dell’individuo sviluppatisi nel sistema diadico bambino caregiver, nelle relazioni primarie. E ancora “il paziente nell’incontro con il terapeuta non si limita a mettere in atto una ripetizione di ciò che ha vissuto nelle relazioni primarie, ma crea una particolare dinamica relazionale con cui possa essere garantito il perseguimento della meta della sua pulsione conservativa” (Petrini e Mandese 2017). Un passaggio in cui gli autori colgono come determinante uno stato reiterativo e contemporaneamente conservativo sia su un piano intersoggettivo che interpersonale, delineando spazi intermedi. Tali aspetti resistenziali, in una prospettiva psicoanalitica, ben si confanno agli stati attrattori conservativi definiti nella teoria dei sistemi viventi come processi autopoietici (Maturana e Varela, 1980) volti alla riorganizzazione del sistema per mantenere intatto il sistema stesso. La crisi in tal senso può essere considerata una reiterazione dei processi autopoietici, che tuttavia a causa dello stato emergente falliscono nel riorganizzarlo secondo il suo equilibrio costitutivo. È il mancante che diviene costantemente presente e il sintomo è l’espressione tramite la quale il sistema tenta di riorganizzarsi sul tentativo di conservare la precedente illusione di stabilità conquistata nel corso delle esperienze primarie.
Finestra clinica
Un uomo di 40 anni, dopo le prime 3 sedute e a seguito dell’investigazione psicoanalitica mutativa, mi
condivide che credeva che suo padre fosse indistruttibile ed invece da quando gli è venuto il primo infarto lo ha visto fragile. Quando il fratello del padre morì per infarto, il paziente il giorno del funerale dello zio andò dal padre e gli disse “mi raccomando non mi fare scherzi” intendendo che il padre non dovesse morire e così abbandonarlo. Il paziente entra in terapia poiché da quel periodo iniziò via via a sviluppare dei sintomi di ansia e sintomi neurofisiologici funzionali.
Commento
Il sintomo svolge a mio parere una funzione autopoietica, ossia il tentativo fallimentare di ripristinare la propria credenza falsificante ormai incrinata definitivamente dalla percezione della malattia del padre e dalla morte dello zio per la stessa causa, l’infarto. Tale dimensione rende costantemente presente il mancante, la percezione del padre come distruttibile, ciò che non era presente nell’immagine del padre. Ciò produce significative increspature anche nell’immagine falsificante che il paziente ha di sé stesso. Da qui il proseguo del percorso terapeutico. Nella clinica siamo soliti incontrare ogni giorno, e gli studi neuroscientifici riguardo al trauma lo confermano, la complessità di stimolare persone gravemente danneggiate psicologicamente verso processi di mutamento. Ciò richiama anche ad una grande sensibilità e responsabilità gli operatori nell’ambito della cura dei disturbi mentali che mi piace sottolineare nonostante non sia argomento diretto di questo articolo. A nostro parere risulta utile, per lo meno lo è stato e lo è tutt’ora, la teoria della crisi secondo questa duplice seppur complementare prospettiva: da un lato la pulsione conservativa che promuove un processo resistenziale rispetto al mutamento; e dall’altro lato la funzione dello stato attrattore auto-organizzante, processi autopoietici, volti a riorganizzare il sistema sulla base di sé stesso. Il momento di crisi sancisce questo duplice movimento, una condizione delicata per l’esistenza della persona che si trova in un’aspra e amara tensione. Una tensione che peraltro varia anche a seconda dell’angoscia dominante della struttura psichica. I sintomi, le trasformazioni in allucinosi e la melanconia potrebbero essere considerati gli esiti del reiterarsi di processi auto-organizzanti autopoietici. In termini psicoanalitici, esiti di meccanismi di difesa. Ciò che ritengo anche utile è la differenza linguistica. Resistenza, meccanismi di difesa rimandano a significati semanticamente correlati al combattere, all’attaccare. A mio avviso ciò spesso influenza il terapeuta nelle sue rappresentazioni del paziente. È un linguaggio che fornisce una teoria implicita
semanticamente densa e che già predispone il terapeuta in un dato atteggiamento. Mentre nell’utilizzo del linguaggio auto-organizzante colgo maggiormente uno spirito descrittivo e ciò facilita il processo di
associazioni sul paziente e anche il costruirsi rappresentazioni sul paziente maggiormente delicate. Da un lato favorisce l’accoglienza e dall’altro come psicoterapeuti ci rendiamo disponibili a lasciarci pervadere dal funzionamento del paziente e questo ci favorisce il riconoscimento del funzionamento stesso.
Nella nostra pratica clinica ci è di prezioso aiuto l’uso dei principi delle applicazioni del PPM e spesso ci siamo trovati anche in situazioni di gruppo in cui l’uso di tali principi e applicazioni è risultato sorprendentemente utile e pertanto via via ci siamo chiesti: perché non utilizzare in modo strutturato il modello di investigazione e di intervento del PPM ai gruppi, alle comunità e alle organizzazioni?
Questa domanda ci ha spinti ad indagare quali teorie potessero corrispondere all’approccio del PPM e al tempo stesso potessero fornire un appoggio teorico che ci consentisse di tradurre i principi e le applicazioni del PPM, rivolte alla diade terapeuta-paziente estendendola, anche ai gruppi. Da un lato le teorie dei sistemi dinamici complessi non-lineari ha favorito in noi la costruzione di rappresentazioni di gruppo inteso come l’insieme degli elementi che lo costituiscono e le loro interazioni relazionali. Dall’altro lato avevamo bisogno di poter studiare tutto ciò che avviene nelle interazioni tra gli elementi del sistema e tra le teorie psicoanalitiche di gruppo, e si può trovare una ampia ed affine disamina nei modelli di trasformazione e nel concetto di apparato psichico gruppale.
“L’apparato psichico gruppale è un “apparato” irriducibile all’apparato psichico individuale: esso non ne è l’estrapolazione. Esso svolge un lavoro psichico particolare: produrre e trattare la realtà psichica del e nel gruppo. Esso è un dispositivo di legame e di trasformazione degli elementi psichici e funziona solo attraverso gli apporti dei suoi soggetti. Nei gruppi, per il fatto del raggruppamento e per effetto del raggruppamento, avviene un certo arrangiamento della psiche e questo assemblaggio definisce la realtà psichica o la “psiche” del gruppo” (Kaës, 1999, pag.75).
Integrando tali prospettive considero un gruppo, una comunità, una organizzazione più che un sistema ossia ciò che si manifesta dall’interazione tra elementi del sistema e le menti del sistema, l’assemblaggio in un apparato psichico gruppale. Così come un essere umano possiede sistemi e apparati che interagiscono costituendone un corpo così simbolicamente avviene per il gruppo che “si organizza come metafora o metonimia del corpo. Il destino del gruppo e dei suoi oggetti costituenti si definisce con la relazione che si stabilisce tra lo spazio vissuto, quello del corpo immaginario, lo spazio simbolico e lo spazio reale “(Kaës, 1993, pag. 253). Lo studio dell’apparato psichico gruppale consente di prendere in considerazione i numerosi organizzatori interni inconsci che favoriscono tale assemblaggio come condensazioni, spostamenti identificazioni adesive, proiettive e introiettive.
Riteniamo che la teoria evolutiva della crisi così come proposta nel modello del PPM offra una prospettiva significativa per comprendere la crisi di un gruppo, di una comunità e di una organizzazione. Per noi un gruppo “…entra in crisi solo quando, avvenuto un cambiamento che inevitabilmente impone al soggetto la verità nascosta dietro un giudizio menzognero di sé e degli altri, non può più evitare di scegliere, di decidere se restare nella caverna a vedere solo ombre o uscirne e correre il rischio di entrare in contatto con ciò che è nella luce” (Petrini e Mandese, 2017).
Così in un gruppo quando emergono aspetti scissi e denegati, vengono alla luce aspetti che non si volevano vedere o che non si era in grado di tollerare e quando questo avviene senz’altro si vivrà una crisi che sarà tanto maggiore quanto intense erano le alleanze inconsce che a quel punto vengono a manifestarsi. Gli esiti di ciò in gruppo possono essere molto complessi. Rotture, smembramenti, collassi, riorganizzazioni del gruppo avvengono non senza dolore e difficoltà e ciò che ne esce è qualche cosa anche di molto diverso dalle configurazioni precedenti. La complessità di affrontare questo in gruppo consta anche delle reazioni non prevedibili dei singoli soggetti che prima invece avevano acquisito una propria stabilità. Ciò che emerge in un più-che-un-sistema produce più-che-un-effetto, spesso imprevedibile generando nuovi comportamenti emergenti essendo saltati i processi auto-organizzanti che rendevano il gruppo stabile. Nel momento in cui l’apparato psichico gruppale inizia ad incrinarsi, anche le formazioni inconsce individuali iniziano a manifestarsi generando una maggiore tendenza al caos e al disordine. Tutto ciò pone di fronte a delle complessità e al tempo stesso avvincenti questioni metodologiche riguardo agli interventi nei gruppi. Il PPM nella sua investigazione psicoanalitica mutativa ritengo possa offrire una proposta interessante nella scelta strategica di intervento. Consapevoli dunque del gruppo come più-che-un-sistema occorre fin da subito porre attenzione ai legami di interdipendenza e come essi sono mantenuti cosi da promuovere interventi proporzionati e che possano essere accolti dal sistema che entra gradualmente in una progressiva perturbazione imparando a gestire i livelli progressivi di tensione che vengono a ingenerarsi e al tempo stesso, se da un lato emergono credenze falsificanti, dall’altro si lavora per stabilizzare il sistema secondo finalità e credenze condivise. Dunque, la destabilizzazione mutativa deve corrispondere ad un lavoro di stabilizzazione che preveda l’abituarsi al tollerare stati tensionali. Al tempo stesso i processi di destabilizzazione di gruppo portano anche a delle destabilizzazioni individuali che, se non opportunamente accolte, ascoltate con attenzione ed elaborate potranno costituire la base per il costituirsi di nuove formazioni inconsce che prima o poi si manifesteranno durante il percorso di mutamento.
Certamente il lavoro con un gruppo è assai complesso, non sempre prevedibile, spesso alcune formazioni inconsce del gruppo si manifestano tramite agiti e solo allora ci si accorge che qualche cosa ha preso altre direzioni rispetto ai fini condivisi. Ritengo pertanto funzionale che il ruolo di un processo rivolto ai gruppi svolga una funzione fondamentale, ossia quella di monitorare i mutamenti nei vari spazi del gruppo, nei vari tempi del gruppo e nei vari processi interpersonali ed intersoggettivi.
Prospettive all’applicazione del PPM nei gruppi, nelle comunità e nelle organizzazioni
Come si è formato un gruppo? Chi ha formato il gruppo? Chi gestisce il gruppo? Quali gerarchie vigono nel gruppo? Quali interazioni sussistono in un gruppo? Quali legami vigono in un gruppo? Quali dinamiche sono presenti in un gruppo? Come indagare e favorire l’emersione di aspetti inconsci? Quali trasformazioni sta vivendo il gruppo? Qual è la relazione tra soggetto e assoggettamento nel gruppo? Che dimensioni assumono l’invidia, il narcisismo, l’amore e l’odio in gruppo?
Queste sono alcune delle domande che ci siamo posti nel desiderio di indagarle secondo le logiche ed i
principi del PPM e fornire al professionista che lo desideri una estensione delle applicazioni del PPM ai
gruppi. Come vuole il modello, teoria e pratica camminano insieme, si influenzano reciprocamente, mutano di volta in volta per “rendere facile il complesso e complesso il semplice” (Petrini e Mandese, 2017). L’attenzione al funzionamento psichico nel e del gruppo, la teoria evolutiva della crisi e il modello teorico genitale se opportunatamente integrati con prospettive sistemiche e prospettive trasformazionali nella psicoanalisi dei gruppi, può offrire un modello articolato e strutturato utile a destreggiarsi nel complesso mondo dei gruppi, delle comunità e delle organizzazioni.
Consideriamo alcuni aspetti su cui pone attenzione il PPM fulcri che consentono di ruotare la prospettiva verso sistemi dinamici multicomponenti.
Come già più volte sottolineato l’attenzione al funzionamento psichico del singolo nel gruppo e del gruppo con i molteplici livelli di fantasmatizzazione, di appoggi oggettuali, di rappresentazioni interne e di imago gruppale costituiscono oggetti di indagine del PPM.
Il ruolo del professionista, che avrà sviluppato abilità nel sentire, ascoltare ed osservare, da un lato lasciandosi pervadere per entrare in risonanza con il funzionamento interno del gruppo e dall’altro lato come “monitore” restituisce al gruppo quanto reputerà utile per indurre gli opportuni movimenti. In tal senso ho trovato rappresentativa la proposta di Kaës et all. (1972) in cui vengono evidenziati i diversi livelli di desiderio e di coinvolgimento del professionista: “il desiderio del monitore non è solamente che il gruppo esista e viva un’esperienza esistenziale che lui, monitore, accetta di condividere. Il monitore è anche mosso dal desiderio di capire questa esperienza e di farne capire il senso agli interessati.” Si ritiene tale atteggiamento del professionista fondamentale per il rispetto dell’etica professionale e che sia a garanzia di qualsivoglia gruppo si entri a contatto. In tal senso è importante ricordare che nella funzione mutativa non ci si costituisce né leader, né fondatori di un gruppo.
E ancora le varie dinamiche che possono essere prese in considerazione. Le dinamiche collusive, come punto di contatto emotivo, affettivo, pulsionale rinforzante dinamiche intrapsichiche quali processi di idealizzazione, di identificazione proiettiva e così via. Le dinamiche perpetuative, come schemi comunicativi, linguistici, emotivi, cognitivi, relazionali che tendono a reiterarsi nel futuro per perpetuare il passato nel presente. Le dinamiche conservative, come meccanismi difensivi in favore del mantenimento delle identificazioni consce e dell'equilibrio precostituito nell’asse piacere-dolore.
Finestra di Applicazione ad una comunità
Chiamato per una consulenza in una comunità maschile di religiosi cristiano-cattolici composta da 9 persone, dopo l’investigazione psicoanalitica mutativa, decido di svolgere dei colloqui suddividendoli in tre gruppi da tre ciascuno. In uno dei tre gruppi emerse una notevole rabbia ed erano risentiti con alcuni confratelli che ostacolavano le loro proposte di cambiamento in quanto la comunità era oberata da attività e non avevano molto tempo per la preghiera, oltre a sentirsi molto stanchi. In un altro gruppo manifestarono molta rabbia verso coloro che promuovevano il cambiamento ed uno di loro, il responsabile della comunità e anche tra i più anziani, disse “ma insomma, da quando sono entrato in comunità abbiamo fatto sempre così, se a qualcuno non piace allora il problema è il suo”. Infine, nel terzo gruppo si manifestavano in alcuni momenti paura per come si sarebbe o meno evoluta la situazione e in altri momenti tristezza per la situazione di conflitto in particolare tra due confratelli che talvolta nemmeno si parlavano. La situazione era densa di emotività e fin dai primi incontri mi sentii pervaso da angoscia e dalla sensazione di dover intervenire. Fu questa sensazione di urgenza che mi pervase anche dopo gli incontri e che mi fece riflettere sul fatto che mancasse uno stato di calma e sicurezza per poter pensare considerando tra l’altro che queste dinamiche non stavano conducendo ad un miglioramento della loro situazione anzi verso una escalation relazionale caratterizzata da rabbia, rancori e nervosismo. Fu così che costruii l’interpretazione psicoanalitica mutativa con alcune domande che li spinsero a riflettere su come questa loro frenesia non stesse portando alcun risultato rispetto ai loro obiettivi e che avremmo potuto stabilire un tempo di pace per poter intraprendere delle riflessioni che potessero aiutarli a vedere cosa non stessero considerando. Tra l’altro la maggior parte di loro, eccetto i due più anziani, erano impegnati in attività di formazione di giovani e adulti e pertanto avevano anche competenze in merito ai gruppi. Accolsero di buon grado l’interpretazione e il clima emotivo si sgonfiò della tensione. Stabilii come metodo degli incontri a gruppi di tre in cui emersero diversi aspetti, tra cui quelli sopramenzionati e altri dettagli significativi.
Commento
Si possono evincere due movimenti importanti, uno mosso da dinamiche perpetuative ben rappresentate dall’affermazione “…abbiamo fatto sempre così…” e l’altro mosso da una istanza di proposte di cambiamento. Questi due movimenti entravano in conflitto producendo comportamenti emergenti, come appunto nervosismi, minor cooperazione, volti arrabbiati, in cui loro stessi non si riconoscevano né per come si relazionavano in precedenza né per i valori che loro rappresentavano e a cui tenevano molto.
Cosa vedeva una fazione che l’altra non vedeva?
La fazione del cambiamento intuiva l’esigenza di un rinnovamento mentre l’altra fazione innalzava le difese conservative come strategia per perpetrare le modalità vigenti. L’una non voleva vedere l’esigenza di un rinnovamento conservando così gli schemi a cui si erano legati e che avevano prodotto anche notevoli benefici alla comunità nel tempo. L’altra fazione non voleva vedere i legami del trigenerazionale, del sistema in cui nacque la comunità e i suoi sviluppi. Li conoscevano ma non li avevano vissuti e quindi non avevano un legame come invece era per il responsabile di comunità ed altri due. Il percorso che facemmo insieme fu per fare emergere prima nei piccoli gruppi questi aspetti che presero anche dovizie di particolari della storia della comunità anche commoventi, perfino per noi. Dopo che nei piccoli gruppi si era stabilizzato il livello tensionale e i livelli di attivazione erano in zona di sicurezza, fu possibile fare degli incontri in gruppo in cui ogni parte aiutò l’altra a crearsi una rappresentazione, chi del passato e chi del futuro. In questo modo gradualmente poterono creare una rappresentazione condivisa di continuità e al tempo stesso di mutamento tra passato, presente e futuro.
Per quanto riguarda gli aspetti legati alla leadership, ai processi di antileadership, ai processi di costituzione e di mantenimento di un gruppo ci si è orientati verso una integrazione degli autorevoli lavori di Bion. Per quel che riguarda le varie formazioni inconsce ritengo di particolar rilievo una integrazione con le alleanze inconsce così come proposte da Kaës. Aspetti che saranno in ogni caso osservati nelle varie dimensioni del PPM e dunque dal confronto con quanto appare e l’automenzogna volta a mantenere intatto il sistema di credenze falsificanti. Pertanto, vi sarà l’instaurazione di una dialettica tra ciò che si rende visibile e ciò che è celato, con le parole che si dicono e quelle che non si dicono, tra ciò che si dice e ciò che si agisce.
Mantenendo pertanto come professionisti uno sguardo su ciò che manca, su ciò che non vediamo così da
evitare di essere abbagliati da ciò che si vede o da ciò che si vuol vedere.
A nostro avviso è anche importante tenere in considerazione tre aspetti, come variabili intervenienti, e che possono amplificare risonanze, stimolare mutamenti o addirittura favorire stati della mente regressivi nel loro manifestarsi improvviso:
– il perturbante inteso come ciò che è inconscio, non visibile, ciò che potrebbe rimanere nascosto, segreto e che invece in un dato momento può emergere producendo intensi e talvolta gravi smottamenti al funzionamento fino ad allora presente;
– il perturbatore inteso come la cosa e/o il chi, a livello consapevole o inconsapevole, volontario o involontario, produce una alterazione del funzionamento;
– la perturbazione intesa come l’insieme dei movimenti che si verificano nel gruppo nel mentre e nel dopo la ricezione del perturbatore e/o del perturbante.
Terminiamo questa breve disamina delle applicazioni del PPM al gruppo, alla comunità e all’organizzazione indicandone sinteticamente le possibili utilità: individuare il funzionamento del gruppo; individuare le aree di intervento; predisporre gli strumenti per aree di intervento favorendo trasformazioni DA->A; monitorare mutamenti nel funzionamento; gestione di eventuali processi di ri-organizzazione; rinforzare mutamenti nel funzionamento là dove favorenti le mete proposte.
Conclusioni
Nella prospettiva proposta in questo articolo da un lato abbiamo gli attori della scena, i vari membri del gruppo ciascuno con il suo funzionamento personale, dall'altro abbiamo le loro relazioni con le loro dinamiche interne e il campo che esse vanno a creare nonché le loro alleanze inconsce che in quanto tali non sono così evidenti. Tutto questo ci appare tramite un funzionamento specifico del gruppo sia nei suoi aspetti più di superfice che in quelli via via più profondi. Ecco che entra il gioco il PPM nel suo ruolo volontario e studiato in qualità di monitore e perturbatore. Gli interventi mirati del professionista,
perturbatore consapevole, producono delle perturbazioni in grado di produrre delle "crepe" nel funzionamento del gruppo fintanto che emergano aspetti inizialmente non manifesti o parzialmente manifesti. Il perturbante che lavorava in sordina ora si manifesta, porta scompiglio ma almeno sappiamo con cosa abbiamo a che fare. Pertanto, emergeranno anche dinamiche conservative che potrebbero generare anche massicce risposte difensive persino regressive. Il professionista che usa il PPM è consapevole di ciò e dunque proporrà interventi di destrutturazione e al contempo adeguati strumenti contenitivi che favoriscano progressive ristrutturazioni nelle rappresentazioni. In tal senso tutto ciò che studiamo come assunti di base, alleanze inconsce, dinamiche conservative e tutto il resto ci serviranno per poter ponderare l’intervento e stabilire quale sia il punto più accessibile per promuovere un processo mutativo/trasformativo. Imparare a stare in contatto con ciò che viene alla luce è un’opportunità per imparare a stare in uno spazio di conoscenza (K), che, se accolto con le relative tensioni, timori e tremori favorisce quel passaggio verso O generando ulteriori stati di crisi, di difficoltà, di non prevedibilità che solo tramite un coraggioso, e perché non impavido, atto di fede (F) possono essere percorsi senza voltarsi indietro, evitando di diventare una statua di sale. Ci si volta per poter apprendere dall’esperienza, per riorganizzare i significati personali sotto la lente degli eventi successivi, non per fermarsi. Imparare a stare in questi spazi mutativi, imparare a stare nella tensione tra ciò che si credeva di essere e ciò che invece si manifesta, su di sé, sull’altro, sulla vita, è il luogo in cui opera il PPM promuovendo quel “cambiamento catastrofico” (Bion, 1981) che ha un so che di mitologico. Divenire capaci di pensare il proprio pensiero, divenire capaci di pensare come soggetto e soggetto di gruppo, poter pensare insieme e rendere pensabile ciò che altrimenti rimarrebbe solo pensato o anche non pensato.
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Stolorow R.D., Atwood G. (1992) I contesti dell’essere. Le basi intersoggettive della vita psicologica, Bollati Boringhieri, 1995.
Formatosi dal 2005 al 2013 nell’ambito dell’Empowerment in Coaching, in Counseling e in Programmazione NeuroLinguistica. Nel 2014 diviene Psicologo e nel 2019 si diploma presso la SAPP divenendo Psicoterapeuta ad orientamento psicoanalitico. Dal 2014 svolge regolarmente attività di studio privato e ha collaborato in qualità di formatore con diverse associazioni, cooperative, comunità e aziende sul territorio nazionale. Dal 2024 è docente presso la SAPP ed in particolar modo si occuperà degli sviluppi del PPM nelle sue applicazioni ai gruppi, alle comunità e alle organizzazioni.