Analisi film “I bambini ci guardano”

I bambini ci guardano?

Questa domanda, apparentemente così semplice e così ingenua, rappresenta in realtà un quesito fondamentale, che nasconde un mondo e un “territorio” di grande interesse. Si tratta di una domanda centrale per la comprensione psicologica, per cercare di “sbrogliare la matassa” delle vicende psichiche dello sviluppo e dell’esistenza, in tutta la loro complessità. Cercando di rispondere a questa domanda, si può tentare di gettare luce sui fattori fondamentali che incidono sullo sviluppo, nel loro dispiegarsi nel mondo interno e nel mondo relazionale oggettuale. Si tratta della domanda fondamentale che ha guidato il seminario del 17 Dicembre 2022, intitolato “I bambini e i ragazzi ci guardano… Cosa dire loro?”. Si tratta, inoltre, della domanda fondamentale intorno alla quale ruota lo storico film “I bambini ci guardano” del 1943, diretto da Vittorio De Sica, capolavoro del cinema pre-neorealista (Stefania Parigi, 2014). Nel film, vengono raccontate le drammatiche vicende di vita di Pricò, un bambino costretto a confrontarsi con un contesto politraumatico, in cui il dolore e la sofferenza appaiono come soverchianti. Il film, una vera e propria “catechesi” di umanità, costituisce una vera e propria svolta per la storia della cinematografia italiana e non solo in quanto si tratta di un film veramente di rottura sia da un punto di vista contenutistico (vedi i temi, all’epoca sovversivi, del suicidio, dell’adulterio femminile e dell’infelicità infantile) sia da un punto di vista stilistico (vedi l’anticipazione dell’estetica e degli stilemi del cinema neorealista, con il passaggio dalla formula dei “telefoni bianchi” a quella dei “telefoni anneriti”; Mario Luzi, 1999). Nonostante l’epoca in cui è stato girato, il film è di una modernità straordinaria, con il suo soffermarsi dinamico e al tempo stesso minuzioso sullo sguardo del bambino. Sguardo di Pricò che ha molteplici funzioni: è uno sguardo impietoso, che scopre e accusa il mondo dei grandi; uno sguardo sofferente, caotico, incerto, aperto al vuoto; uno sguardo attivo e dinamico, che si posa su tutte le figure del contesto di vita; uno sguardo che mette in crisi un cinema fondato sull’eroismo; uno sguardo che rappresenta un’autentica

intensificazione del vedere e del sentire; uno sguardo che incarna un’umanità calpestata (è “la testimonianza dell’apocalisse di una civiltà”; Stefania Parigi, 2014); uno sguardo costituisce i germogli di una possibile restaurazione, di una possibile speranza (“I bambini, solamente essi, sentono che la vita che fanno non è quella che dovrebbero fare. C’è tanto da sperare per loro!”; De Sica, 1945). Tutte queste tematiche sembrano essere condensate e riassunte nell’immagine che ho scelto, che è di una scena-chiave del film. Pricò sta seguendo i binari della ferrovia nel vano e disperato tentativo di ricongiungersi con il padre, che in quel momento si trova a Roma. Il suo sguardo è così preso da questo focus tanto da non rendersi conto che proprio davanti a sé sta arrivando un treno, che potrebbe investirlo.
Dunque: i bambini ci guardano? La scena del film sembra darci una chiave di lettura, sembra darci una risposta. Sì, i bambini ci guardano, ci guardano sempre. E ci guardano anche quando non siamo presenti in quel momento fisicamente. Perché nella loro mente siamo sempre presenti.

Dott. Nicola Milano (Tirocinante S.A.P.P.)